La speranza è un dono

In vista di questo incontro ci siamo ritrovati una sera online. Siamo partiti dalla Prima lettera di Pietro: «Non sgomentatevi per paura di loro e non turbatevi, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza» (1Pt 3,14-16).

La speranza è un dono già in noi e ha una base solida: Gesù Cristo, morto e risorto. Il battesimo ci ha intrecciato nella Sua vita: noi, battezzate e battezzati, già siamo innestati nel Suo Corpo, che ha sofferto, ha operato il bene, ha testimoniato con dolcezza e rispetto.

La speranza è un dono ricevuto, quindi non è un generico “farsi coraggio”; la speranza ha il volto di Cristo, di una persona in carne e ossa da abbracciare, quindi non è un capriccio o un auspicio irrazionale; infine, la speranza risplende nel mondo, quando la ospitiamo in noi.

In Cristo, Dio ha già mantenuto tutte le sue promesse: le manterrà in futuro anche per noi. Anche il presente è un tempo propizio per stare con Lui, che orienta il senso di ogni sospiro e ci dà tutto. Sperare è confidare, affidarsi e, soprattutto per noi Piccoli Fratelli, abbandonarsial Dio che si lascia incontrare negli altri. Occorre una buona dose di spoliazione: deporre le armi mondane, essere pronti a perdere pure la faccia, per sporcarci con le lacrime e il sangue delle esistenze ai margini. Non si può ignorare il male, la paura, la morte. I sacramenti che ci fanno Corpo di Cristo ci danno la forza di attraversare le pieghe più oscure della storia, sino agli inferi, oltre le delusioni.

Molti oggi non hanno più speranza; soprattutto sono i giovani a essererassegnati. Nella società della competizione e della prestazione si parla di “noia esistenziale”, di fenomeni di isolamento sociale volontariocome gli hikikomori che, in risposta a una serie di fattori psicologici e pressioni sociali, come aspettative scolastiche, lavorative e famigliari, si chiudono nella propria stanza, o i ragazzi incel che, tra insicurezze personali e senso di frustrazione, non riescono a stabilire relazioni intime con le ragazze. Oppure i NEET che non studiano né lavorano, che in Italia sono il triplo rispetto alla media europea. Non credono che ne valga la pena, non si fidano più di ingenui ottimismi o pensierinimotivazionali. Per essere credibili dobbiamo ascoltare, incontrare ed entrare – in punta di piedi, alla pari, senza paternalismi o nostalgie del passato – in queste realtà.

Se non c’è un progetto che ci muove, non si va avanti. Anche questa biblioteca è viva perché una speranza la alimenta. Il nostro priore lavora nei teatri: realizzare uno spettacolo che coinvolga figure diverse (attori, scenografi, musicisti, costumisti) può essere occasione perché una piccola comunità, unita da un obiettivo comune, cresca nella speranza.

Sant’Antonio di Padova legava il termine spes (speranza) a pes (piede): la speranza mette in cammino; non si può sperare da fermi. Un piede dopo l’altro, in semplicità e umiltà, tra la precarietà e l’incertezza, capaci di attendere e di tendere la mano per mendicare o per sorreggere, portiamo avanti l’essere speranzoso del pellegrino, nelle gioie quotidiane. Nella fragilità del vivere collaboriamo a trasfigurare ogni istante, che smette di essere un’occasione per lamentarsi, ma diventa opportunità per sperare insieme. Quanto più svuotiamo lo zaino, tanto più saremo in grado di accogliere lungo il cammino. 

Sottolineiamo lo stile: “dolcezza e rispetto”. È quello di Charles de Foucauld: l’apostolato della bontà. Nella limpidezza delle relazioni e delle azioni, essere buoni testimonia che il nostro Dio è buono. Parla il comportamento, non le prediche; c’è bisogno più di testimoni che di maestri, diceva Paolo VI. Prima di pensare a cosa fare per i giovani, cosa dire o cosa proporre, preferiamo restare sulla domanda: cosa essere? Charles de Foucauld non costruì opere, ma è una testimonianza vivente: ha condiviso la sua quotidianità. Abbiamo la responsabilità di testimoniare insieme – a partire dal quotidiano, in unità con le persone e tra le persone di oggi – la speranza e nella speranza, che è il Risorto in mezzo a noi. Se siamo Figli dell’unico Padre, cioè sorelle e fratelli universali, la testimonianza viene da sé.

Piccoli Fratelli dell’Accoglienza 

Cogoleto, 19 ottobre 2024