Vocazione: il “mio” Sposo che mi espande
Vocazione non è questione di “coerenza” con le scelte precedenti o con un destino immutabile da accettare. Quante volte anche io mi dimentico che la vocazione fondamentale è l’Amore degli altri come me stesso, che poi si può (e, anzi, si deve) vivere in modi diversi a seconda delle esperienze, dei contesti e dei condizionamenti esterni, più o meno ingiusti, e delle vicende della vita. Le storie dei grandi personaggi biblici, piene di imprevisti, ce lo insegnano. Vocazione ha a che fare con la mia libertà che è interpellata a rimanere, ovunque, libera. È davvero un “sentiti libero” senza secondi fini, nel modo più sincero possibile; non come quando ti viene detto subdolamente per costringerti o farti sentire in colpa se non lo fai. Sentirmi libero di dare, di darmi: di dare la vita. «Sempre, subito, con gioia», dicono gli amici Gen del Movimento dei Focolari. Fare quel passo, espormi, volontarizzarmi: «Vado io!», come ama dire il caro Paolo Spina, medico del corpo e dello spirito.
In cammino, ho scoperto di essere più rigido di quanto non pensassi o non volessi, sia con me stesso, sia con gli altri. Pretendevo dagli altri, da me, da Dio, troppa coerenza. Ero piuttosto un organizzatore schematico, e in parte lo sono ancora. Ancora recentemente mi dicevano che lascerei troppo spazio alla testa, a scapito del mio cuoricino. Le aspettative pesano, ma anche l’esigenza di sicurezze, perché dietro alla mia tranquillità a volte sono insicuro come tutti, perché nell’incertezza del non poter programmare il mio futuro inizio ad affondare. Sto imparando a scegliere la realtà che sono, perché supera le mie progettazioni; senza voler colonizzare tutto lo spazio della vita, perché non dipende da me. Non posso neppure cambiare il colore alla mia barba o ai miei capelli che incanutiscono, e invano mi arrabbio con loro. Insomma, non penso più alla Vocazione/Volontà di Dio come a un servizio, a uno stato di vita o a un lavoro specifico già scritto immutabilmente per me in mia assenza, per cui ora dovrei solamente sperare di scegliere la casellina giusta per sempre, altrimenti perderei tutto…
Ma sicuramente credo a una Vocazione vera, definitiva, universale all’amore – l’unico Sacerdozio di Cristo: servire sino a dare la vita – che si esplica in una pluralità di carismi, doni, talenti combinati variamente nei percorsi personali di ciascuno che possono trovare collocazione nelle “missioni”, negli “stati di vita”, nei “ministeri”, laicali o ordinati. Tra l’altro alcuni sono stati separati solo per una regola ecclesiale modificabile, penso ad esempio al matrimonio e al presbiterato che nella stessa Chiesa cattolica non sono sempre incompatibili, se penso ai preti sposati cattolici di rito orientale. Ma questi ministeri non vanno confusi con la Vocazione. La Vocazione non è mai “mia”; invece i percorsi vocazionali lo sono sempre, ma in cammino, in dialogo, nel confronto comunitario, in risposta all’unica Vocazione. La Vocazione diventa però mia in senso affettivo: vocazione è Cristo che io scelgo di accogliere come il “mio” Gesù, il “mio” Sposo. Se tale Vocazione è irrevocabile e non può essere sconfessata, i percorsi subiscono tagli, potature, innesti; per fiorire nella Vocazione, sono chiamato a scegliere un ramo anziché un altro che lì per lì sembrava promettente ma poi – nel procedere della vita – ho scoperto sterile.
“Dare Maggior Gloria a Dio”. La Vocazione/Volontà di Dio resta la vita del Figlio di Dio che risplende dell’Eterno; i carismi – doni ricevuti, che fanno parte di noi, ma restano Suoi – ci aiutano a contemplarla, a viverla, a farla davvero nostra, a darle volti concreti, a incarnarla, a essere liberi di offrire il meglio che ci è possibile, sapendo che ancora di meglio ci è e ci sarà donato. La fedeltà è sempre a Dio, che è la Vocazione, non alle decisioni ormai prese dalle quali spesso diventiamo dipendenti: la Bibbia ci mostra la scelleratezza di chi, per timore di fare un passo di lato, procede imperterrito verso il baratro.
Proprio la centralità definitiva della Vocazione – Dio, l’Assoluto – relativizza le scelte vocazionali, oltre ad attrarle tutte verso sé. In questo senso, nessuno può dire in senso pieno di avere la Vocazione a essere padre, madre, suora, prete, frate… Quelli sono piuttosto percorsi vocazionali, libere risposte – che ora sappiamo essere “migliori” per noi e per gli altri – alla Vocazione. Nei percorsi ci è data la grazia di scoprire il nostro Nome: la nostra peculiarità amata da sempre.
Mi viene in mente santa Teresina, che aveva in cuore il forte desiderio di diventare prete, ma che ha trovato il suo percorso vocazionale nella Vocazione: essere «l’Amore che abbraccia in sé tutte le vocazioni, che è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, che è eterno». La Vocazione è quindi sempre più grande di un ministero ecclesiale specifico, ma anche di uno stato di vita.
Per questo quando un prete lascia il ministero presbiterale è assurdo dire che sarebbe una “vocazione rinnegata”. Non lo direi neppure a un cristiano che si fa buddista, o a un musulmano che abbraccia la fede cristiana. Certo, la traccia iniziale è potente; io stesso resto cattolico anche e soprattutto in virtù del dono di quel Battesimo che voglio ogni giorno approfondire. Poco altro so. Vedo che studiare e insegnare mi porta gioia duratura, così come meditare quotidianamente la Parola, vivere con i fratelli, sostenere tante persone – anche e soprattutto preti e religiosi – nei loro travagli spirituali e affettivi, che sono anche i miei. Nella mia vocazione deve rientrare tutto questo; cerco di capire come, ma senza crucciarmene troppo. Ho insegnato alle elementari, poi alle medie, infine alle superiori, dove forse mi trovo meglio. Poco altro so: sono in cammino. Dopo il liceo scientifico mi sono laureato in economia, ho proseguito con la laurea magistrale in filosofia, per sfociare nel dottorato in teologia. Nessun tradimento vocazionale, nessun rinnegamento: solamente chiarificazione, espansione e dilatazione. Come quella della santa madre Teresa d’Avila, che lasciò il Convento dell’Incarnazione per incarnare la Vocazione nel modo, per lei, più grande: «Todo se pasa, Dios no se muda, La paciencia. Todo lo alcanza; Quien a Dios tiene. Nada le falta: Sólo Dios basta».
Una noticina. Scrissi questo testo inedito un paio d’anni fa, poco prima di aver incontrato Charles de Foucauld e di aver scelto di camminare nei Piccoli Fratelli dell’Accoglienza. Oggi ritrovo le mie parole ancora vive: poche sono state le limature che ho ritenuto opportuno adottare per la pubblicazione.
Fratel Piotr